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Categories » ‘Riflessioni’

Innovare in modo agile

February 17th, 2016 by

“I colori non sono più di cinque. Eppure nessuno può dire di avere visto tutte le loro combinazioni”
(Sun Tzu – L’arte della guerra)

Le tecniche di lean management, inventate da Toyota a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, ben si prestano all’applicazione per la creazione di nuovi prodotti e la rivitalizzazione di quelli esistenno-thanks-were-too-busyti. Di recente, movimenti come Lean Startup hanno giustamente posto l’enfasi sul loro impiego per un approccio radicale al lancio di idee e attività innovative.

Insieme a Daniela Alderighi abbiamo combinato queste tecniche con la sua esperienza di innovazione in medie e piccole imprese per proporre Eureka, un intervento operativo molto breve – 3 giorni – per tratteggiare opportunità di nuovi prodotti/servizi in passi incrementali successivi, guidati in modo visivo secondo logiche di valore e fattibilità.

Per chi fosse curioso il sito è www.eureka.tips

Interpretare correttamente il contesto di progetto

January 28th, 2016 by

Il mio 2015 podistico è stato un anno complesso. Il termine che ho utilizzato non è casuale e fa riferimento a uno dei cinque domini del modello Cynefin [termine in gaelico gallese, pronuncia: /ˈkʌnɨvɪn/], un modello di interpretazione che aiuta i manager a determinare, in funzione del livello di complessità, il contesto operativo prevalente, consentendo scelte e decisioni appropriate. Cynefin definisce una serie di domini di relazione causa/effetto in funzione dei quali suggerisce al manager il tipo di spiegazioni o soluzioni che potrebbero essere applicate.

Secondo l’autore, Dave Snowden, il dominio Complesso (Complex domain) è quello in cui il rapporto tra causa ed effetto degli eventi può essere percepito solo a posteriori, ma non in anticipo, per cui le soluzioni operative vanno ricercate secondo uno schema che prevede di Esplorare – Percepire – Rispondere (Probe – Sense – Respond) da preferire, nel mio caso podistico, allo schema per il dominio Ovvio (Obvious domain, in origine denominato Simple domain), che prevede di Percepire – Categorizzare – Rispondere (Sense –  Categorise – Respond), ma anche a quello del dominio Complicato (Complicated domain), che prevede di Percepire – Analizzare – Rispondere (Sense – Analyse – Respond).

Podisticamente parlando, una serie di situazioni impreviste mi hanno fatto scivolare da un dominio Ovvio, nel quale riuscivo ad allenarmi regolarmente seguendo un modello noto e ricorrente in funzione delle condizioni fisiche percepite (che Cynefin chiama “best practice“), verso un dominio dapprima Complicato, nel quale mi occorreva un’analisi delle condizioni fisiche percepite prima di poter rispondere con una opportuna modalità di allenamento (che Cynefin chiama “good practice“), e infine verso un dominio Complesso, nel quale devo cercare e trovare  soluzioni di allenamento sperimentali (che Cynefin chiama “emergent practice“), per tentativi ed errori secondo una modalità per cui prima esploro una soluzione, poi percepisco il mio stato fisico e quindi rispondo con la soluzione di allenamento che vedo funzionare tra quelle esplorate. La sfida è quella di riportarmi progressivamente verso un dominio Ovvio, evitando al tempo stesso di scivolare nel dominio Caotico (Chaotic domain), nel quale diventa impossibile individuare la relazione causa/effetto e si è costretti ad Agire – Percepire – Rispondere (Act – Sense – Respond) o peggio nel dominio del Disordine (Disorder domain) nel quale non si comprende più nemmeno quale sia lo schema da applicare e si tende a rifugiarsi nella propria zona di comfort, effettivamente perdendo il controllo della situazione.

Tale modello, per quanto teorico e di pura interpretazione, sottopone a una certa disciplina mentale nel riconoscere correttamente le situazioni di progetto e a operare di conseguenza. La metafora sportiva mi riporta alle situazioni operative in progetti aziendali di cui mi occupo, per le quali ho potuto verificare che quello che spesso manca non è tanto uno schema di gestione, quanto lo schema di gestione appropriato rispetto ai meccanismi di causa/effetto del contesto aziendale e del mercato di riferimento.

Prince2 e responsabilità nei progetti

December 8th, 2015 by

In questo ultimo anno ho avuto modo di riflettere parecchio sul concetto di responsabilità nei progetti, e su come questo venga pensato e attuato in contesti socio-culturali diversi. L’occasione di riflessione me la ha data ancora una volta la struttura della metodologia di project management che applico e anche insegno, Prince2.

Ben tre dei sette principi che sono a fondamento di Prince2 sono direttamente a supporto di un sostanziale meccanismo di “accountability”, per usare il termine inglese che ha un significato più forte rispetto alla semplice “responsibility”, termini entrambi normalmente tradotti in italiano con “responsabilità”. Ma il termine inglese accountability in italiano non ha un vero corrispondente perché ha un significato più stringente, esprime la responsabilità personale ultima, necessariamente in capo a un singolo, che ha il dovere di giustificare le proprie azioni e decisioni e rispondere del proprio operato, anche con una forte implicita valenza di “responsabilità morale a operare bene” e in caso contrario a “pagare di persona” (account = conto, rendiconto).

Se vogliamo davvero capire Prince2 e applicarlo in modo efficace dobbiamo, secondo me, pensare la responsabilità in termini di accountability come appena descritta. I principi Prince2 di “Giustificazione commerciale continua“, “Ruoli e responsabilità definiti” e “Gestione per eccezione” fanno riferimento a questo concetto.

Visto da una prospettiva italiana si fa un po’ fatica a immaginarsi un sistema di gestione dei progetti in cui esista una delega vera accompagnata da un’autonomia decisionale dei vari livelli gestionali, un ‘supremo’ del progetto (che Prince2 chiama Executive) che deve decidere costantemente se il progetto ha e continua ad avere un senso, nel caso non lo abbia più intervenire ‘senza pietà’ per risparmiare risorse e, in ogni caso, rispondere del progetto in prima persona. Del resto Prince2 è nato in Gran Bretagna, nella pubblica amministrazione (anche questo noi italiani facciamo fatica a immaginarlo!), quando era primo ministro una tale signora Thatcher. In Italia, al contrario, solo a enunciare certi concetti si incontra un misto tra rassegnazione allo status quo e resistenza al cambiamento.

Eppure rimango dell’idea che l’adattamento di Prince2 all’ambiente di progetto specifico, in Italia, richieda  un’adeguata comprensione del salto culturale che questo implica e una buona dose di adesione al principio anglosassone di “accountability”: nella mia esperienza l’impiego di Prince2 è stato tanto più efficace quanto più i committenti del progetto hanno accettato e metabolizzato tale passaggio culturale.

 

consapevolezza e controllo dei progetti

March 25th, 2015 by

In questi tempi di crisi economica mi trovo a fare i conti sempre più spesso con un avversario subdolo ma dall’effetto dirompente nelle organizzazioni: la paura di affrontare la realtà per quella che è e fare delle scelte conseguenti. Sempre più spesso suggerisco quindi la visione del film “The Matrix” (il primo della trilogia) e in particolare della scena cruciale che potete rivedere qui sotto.

Ogni volta che in azienda sviluppo soluzioni di project management, funziona più o meno nello stesso modo, presto o tardi mi trovo a citare Morpheus:

Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando. <….> Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio. Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

Mi chiamano a occuparmi della gestione dei progetti perché c’è un’intuizione, qualcuno capisce che c’è qualcosa che non quadra e va fatto quadrare e allora chiamano un esperto. Ma dopo un po’ che sono arrivato io con la mia pillola rossa, ovvero la consapevolezza data da un reale controllo dei progetti, arrivano anche lo shock e la paura di affrontare la verità.

Qui, secondo me, sta il nocciolo di come si è innescata e di come si alimenta per molti versi la crisi attuale. Troppe volte mi trovo di fronte a persone che sono poco attrezzate mentalmente a reggere la pressione che è data dalla consapevolezza della verità, hanno paura di affrontarla e sono irresistibilmente attratte dalla rassicurante anestesia della pillola azzurra. Ma come spiego loro, dalla crisi si esce solo prendendo la pillola rossa, facendo i conti con la verità, essendo capaci di scelte coraggiose.

Ho già scritto in passato – nel post “I progetti e l’intensità di lavoro” – della necessità di allenarsi a lavorare in intensità e sotto pressione, preparandosi per tempo. Diventare maratoneta, per me che non ho velleità agonistiche, è stato anche un modo per prendere la pillola rossa, a modo mio volevo sapere se potevo spostarmi per lunghe distanze affrancandomi dalla schiavitù delle macchine, rappresentate simbolicamente dall’automobile. E con questo ho scoperto i vantaggi che l’allenamento a reggere la pressione fisica e mentale per lungo tempo dà nell’affrontare e vincere la paura delle verità scomode della vita professionale e personale.

 

Prince2, le start-up e i progetti innovativi

January 9th, 2015 by

“Sometimes when you innovate, you make mistakes. It’s best to admit them quickly and get on with improving your other innovations.”
Steve Jobs

Steve JobsCome già illustrato nel precedente post, Prince2 non elimina i rischi di progetto e nemmeno può eliminare le situazioni che possono far deviare un progetto dai piani previsti. Prince2 permette sicuramente però di condurre i progetti in un ambiente controllato, gestendo opportunamente le deviazioni dai piani previsti e anche fornendo i razionali per fermarli subito se non hanno più la prospettiva di produrre i benefici sperati.

Ho imparato per esperienza diretta che l’affermazione di Jobs è profondamente vera, la strada verso l’autentica innovazione è un susseguirsi di approssimazioni successive ed è inevitabilmente lastricata di errori.
Utilizzare l’approccio Prince2 a livello strategico, in contesti innovativi e fortemente a rischio come quelli delle start-up, mi ha fornito il metodo e gli strumenti per mantenere le necessarie lucidità e capacità di valutazione e giudizio per passare rapidamente al progetto successivo quando era necessario e ha quindi facilitato il concentrarsi progressivo degli sforzi sui progetti che potevano dare i migliori risultati e i maggiori benefici.

Il portato di Prince2 nei contesti innovativi si traduce quindi a livello di mentalità operativa, nel non lasciare cuocere a fuoco lento i progetti se già si vede che non daranno frutti positivi: meglio ammetterlo velocemente e passare oltre.

Prince2 e capacità decisionale

December 6th, 2014 by

“La squadra che voglio è quella in cui, in un determinato momento e di fronte a una determinata situazione, tutti i giocatori pensano in funzione della stessa cosa simultaneamente: questo è gioco di squadra, questa è organizzazione di gioco.”
José Mourinho

Prince2 on the football Pitch!Approdando in azienda come Prince2 Practitioner ci si trova spesso di fronte a una mal riposta speranza nell’uomo della provvidenza, come se l’applicazione di un metodo garantisse in se stessa l’eliminazione di incertezze, rischi e imprevisti di progetto, che invece sono ineliminabili perché fanno parte della natura delle cose. Se non si possono eliminare, incertezze, rischi e imprevisti si possono però gestire al meglio mediante un metodo opportuno.

Prince2 non elimina l’incertezza dei progetti, ma aumenta la consapevolezza e di conseguenza aumenta la capacità decisionale e quindi in cascata il controllo sugli eventi che possono impattare i progetti.

Talvolta ho la sensazione che Prince2 cominci davvero a funzionare quando si può smettere di applicarlo, nel senso che nella mia esperienza si giunge sempre a un punto di maturazione in cui i princìpi di Prince2 sono stati talmente interiorizzati dalle persone coinvolte nei progetti, che allentando le redini dei processi di controllo, che pure Prince2 prevede, si riesce comunque a mantenere il controllo degli eventi e nel contempo si aumenta l’efficienza di gestione.

La spiegazione che mi sono dato per questo effetto paradossale è che la forza del metodo risiede davvero nei suoi princìpi, che una volta interiorizzati determinano nelle persone uno ‘stato mentale’ che induce automaticamente, quasi istintivamente, il controllo delle situazioni e delle variabili corrette. In sostanza è aumentata la capacità decisionale e le persone sanno in qualunque momento e in qualunque situazione cosa fare per controllare i progetti, un po’ come l’allenatore sopracitato si aspetta  che avvenga in una partita di calcio giocata sul prato di Stamford Bridge.

crisi economica, cambiamento aziendale e project management

November 10th, 2014 by

Cambiare il trend aziendale

L’attuale perdurante crisi economica sta modificando assetti che abbiamo dato a lungo per scontati. Questo costringe molte aziende a gestire situazioni di cambiamento e cambiamento in azienda significa trovarsi immancabilmente a gestire progetti di una certa complessità, se non dei veri e propri turnaround.

Il riscontro sul campo è che dotando i responsabili aziendali di strumenti per affrontare efficacemente detti cambiamenti i risultati sono positivi e duraturi. Best practice consolidate di project management quali Prince2 e Agile PM, applicate in una combinazione opportuna, consentono un adeguato rigore di gestione e controllo del progetto nel suo complesso e del raggiungimento dei benefici attesi insieme al mantenimento di una opportuna flessibilità al livello operativo.

E’ un po’ come quando si corre la maratona in condizioni climatiche difficili, occorre adattare la propria azione di corsa alla situazione e al contesto che si evolve in continuazione, valutando bene cosa sia realisticamente possibile e opportuno fare secondo un approccio Agile, ma senza mai perdere di vista quelli che sono gli obiettivi e i benefici attesi, governando al meglio il rilascio del progetto sui 42km secondo un approccio più simile a Prince2, come avevo raccontato in un post di qualche anno fa.

Organizzazione e project management per sopperire alla mancanza di qualità

August 7th, 2014 by

Un giorno un anziano ex dirigente di azienda – che mi stava dando dei consigli circa un progetto che era finito in un insuccesso del quale tendevo ad attribuire la causa alla scarsa qualità delle persone coinvolte – mi disse:

“il bravo fornaio sa fare il pane buono con la farina che ha, anche se questa non è di grande qualità”.

Gioco di squadraHo riflettuto spesso su questo spunto e mi è tornato di nuovo in mente guardando i recenti campionati del mondo di calcio, nei quali si sono viste squadre che sopperivano con l’organizzazione alla mancanza di qualità.

In effetti è così, per fare un confronto lampante preso da un passato più o meno recente, o sei l’Argentina di Maradona (con in squadra un genio che da solo risolve le partite) o sei la Grecia che ha vinto una volta il campionato europeo con una squadra di giocatori appena discreti e però un’organizzazione di squadra quasi militare.

In fondo anche il mio essere un maratoneta segue questa filosofia, perché non ho né il talento né la struttura fisica del maratoneta, però con metodo e organizzazione ho potuto raggiungere risultati impensabili a priori.

Il parallelo aziendale va alle aziende familiari che in questo periodo storico, a 50-60 dal boom economico, di frequente si trovano ad affrontare un ricambio generazionale: in molti casi queste aziende sono state create da imprenditori talentuosi che hanno giocato da soli e con iniziative spesso geniali, favorite dal momento storico, hanno costruito floride aziende e creato ricchezza; ma la sopravvivenza e la prosperità futura delle stesse aziende sono spesso date dalla capacità da parte degli eredi, con meno talento e in tempi più difficili, di affidarsi all’organizzazione per costruire una squadra che sappia raggiungere obiettivi ambiziosi applicandosi con metodo, e costanza.

Il project management è a supporto di questo tipo di approccio, forse meno creativo ma sicuramente efficace.

La metafora del rugby e il project management

April 7th, 2014 by

rugby

Mi sono avvicinato al mondo del rugby perché lo praticano i miei figli e non credo di avere scoperto nulla di sorprendente nell’accostare il rugby al project management e nel vedere in questo sport una valida metafora utile alla comprensione dei metodi organizzativi.

Il rugby ha tutto: struttura di governance, gioco di squadra, agilità (tanto che i metodi Scrum prendono il nome dal concetto di mischia mutuato proprio dal rugby), tenuta mentale, capacità di resistere ai colpi e può essere sempre una valida metafora anche per quanto riguarda la pianificazione.

In particolare, in una fase molto critica di un progetto, ho recentemente compreso più a fondo e sperimentato il concetto che in gergo rugbistico chiamano di ‘sostegno‘. Ne avevo sentito parlare per la prima volta tempo fa, chiacchierando a cena con i figli, e mi aveva incuriosito.

Cosa è il sostegno? Cito una spiegazione che ho trovato in rete e mi è piaciuta:

“Quando chi possiede la palla è in difficoltà, i suoi compagni lo aiutano e nel fondersi con lui fanno nascere la solidarietà dei corpi, dove il giocatore non è mai lasciato solo. Questo sostegno ha un senso sociale prima che tecnico: si deve aiutare il compagno quando è in difficoltà. Non si può lasciarlo solo e ogni giocatore deve anticipare il proprio intervento per evitare che egli perda il pallone, perché l’altra squadra ha il diritto di intervenire e recuperare questo pallone. E’ la qualità umana e tecnica di questi sostegni che porterà alla conservazione o al recupero del pallone. <…> Ogni giocatore è sempre utile, mai inattivo, sempre vigile e attento: pensa per sé e per gli altri.”

Nel corso del mio progetto ho avuto la fortuna di lavorare con una squadra competente, coesa e ricca di valori umani; e il giorno della chiusura di una fase particolarmente importante, che non era iniziato sotto i migliori auspici, ho davvero avuto la sensazione che grazie al sostegno di tutta la squadra sono riuscito a raggiungere la meta per un pertugio dove fino all’ultimo mi era parso difficile poter passare.

I progetti e l’illusione del controllo

October 27th, 2012 by
I mesi scorsi ho attraversato un periodo di lavoro operativo sui progetti molto intenso, nei quali ho raccolto alcuni
spunti in merito ai quali sto preparando degli articoli per il blog. Ma in certi casi l’ispirazione arriva da dove meno ce
la si aspetta. Ultimamente ho avuto occasione di vedere molti film di animazione e mi ha colpito un passaggio del film Kung
Fu Panda, una spiegazione che il saggio maestro Oogway da al suo allievo Shifu nel momento del pericolo in cui quest’ultimo
dibita di potere mai trasformare Po, il panda protagonista della storia, in un guerriero capace di sconfiggere Tai Lung, il
cattivo di turno:
Il panda non adempirà mai al suo destino e tu al tuo se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda questo albero
Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada e farlo fruttificare prima del suo tempo.
E all’obiezione di Shifu che l’albero non avrebbe mai potuto sconfiggere Tai Lung:
Può darsi di sì, se sei disposto a guidarlo, a nutrirlo, a credere in lui.
Anche quando si vuole formare le persone a svolgere un derminato compito aziendale, si incorre nell’errore di non
interpretare correttamente la situazione (in termini calcistici si direbbe, “non saper leggere la partita”), accanendosi
inutilmente per cercare di piegare la realtà a quello che si ha in mente, traformando il proprio progetto in una battaglia
persa contro i mulini a vento.
In questi casi è prorio vero che occorre rinunciare all’illusione del controllo, provare a capire le persone, a come
nutrirle e guidarle verso l’adempimento del proprio destino. Capendo quali sono le leve motivazionali profonde che spingono
le persone ad agire. Solo così si riesce a formare le persone a raggiungere gli obiettivi prefissati.
Shifu scoprirà che la gola per i biscotti fa eseguire a Po inconsapevolmente esercizi impensabili e usando quella leva
riuscirà a trasformarlo nel guerriero che sconfiggerà Tai Lung. Nella realta quotidiana aziendale comprendere quali sono le
motivazioni profonde che animano ciascuno dei propri collaboratori è un po’ meno banale che in un film di animazione, ma
nondimeno è il solo modo per ottenere il meglio da essi.
La mia personale esperienza mi fa rilevare anche che, una volta compresa la motivazione personale delle persone, molto
spesso la chiave del successo organizzativo è rimuovere i vincoli, magari autoimposti dalle stesse, che impediscono alle
persone di operare con modalità a loro congegnali. A quel punto diventa più semplice adattare i modelli organizzativi e
fare in modo che funzionino davvero.

Rimuovere i limiti autoimpostiDurante i mesi scorsi ho attraversato un periodo di lavoro operativo molto intenso su progetti che mi hanno fornito spunti per i prossimi articoli del blog. Ma in certi casi l’ispirazione arriva da dove meno ce la si aspetta. Ultimamente ho avuto occasione di vedere molti film di animazione che mi ero perso e mi ha colpito un passaggio del film Kung Fu Panda, una spiegazione che il saggio maestro Oogway da al suo allievo Shifu nel momento del pericolo in cui quest’ultimo dubita di potere mai trasformare Po, il panda protagonista del film, in un guerriero capace di sconfiggere Tai Lung, il cattivo di turno:

Il panda non adempirà mai al suo destino e tu al tuo se non rinuncerete all’illusione del controllo. Guarda questo albero Shifu: non posso farlo fiorire quando mi aggrada e farlo fruttificare prima del suo tempo.

E all’obiezione di Shifu che quell’albero non avrebbe mai potuto sconfiggere Tai Lung:

Può darsi di sì, se sei disposto a guidarlo, a nutrirlo, a credere in lui.

Anche quando si vuole formare le persone a svolgere un determinato compito aziendale si può incorrere nell’errore di non interpretare correttamente la situazione (in termini calcistici si direbbe, “non saper leggere la partita”), accanendosi inutilmente per cercare di piegare la realtà a quello che si ha in mente, trasformando il proprio progetto in una battaglia persa contro i mulini a vento.

In questi casi è prorio vero che occorre rinunciare all’illusione del controllo, provare a capire le persone, come nutrirle e guidarle verso l’adempimento del proprio destino. Capendo quali sono le leve motivazionali profonde che spingono le persone ad agire. Solo così si riesce a formarle e portarle a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Shifu scoprirà che la gola per i biscotti fa eseguire a Po inconsapevolmente acrobazie impensabili e usando quella leva riuscirà a trasformarlo nel ‘guerriero dragone’ che sconfiggerà Tai Lung. Nella realtà quotidiana aziendale comprendere quali sono le motivazioni profonde che animano ciascuno dei propri collaboratori è un’attività un po’ meno banale di quanto non lo sia in un film di animazione, ma nondimeno è il solo modo per ottenere il meglio da essi.

La mia personale esperienza mi fa rilevare anche che, una volta compresa la leva motivazionale delle persone, molto spesso la chiave del successo organizzativo risiede nella rimozione dei vincoli, magari autoimposti dalle stesse, che impediscono alle persone di operare con modalità a loro congegnali. A quel punto diventa più semplice adattare i modelli organizzativi e fare in modo che funzionino davvero.